Calcio e caldarroste

settembre 15, 2019

C’era un tempo in cui le memorie avevano un sapore, un retrogusto. Diverso da quello che ha il presente e la faticosa avanzata delle nostre ore, degli umili e granitici minuti. Un sapore più stabile e meno effimero. E sono quei ricordi che ti rimangono, sottili e trasparenti, a levigare il cervello e le striature dell’iride. Quasi indistruttibili, scritti nella roccia. Eravamo giovani e quasi immortali, ci raccontavamo. Il sudore imperlava le nostre fronti, mentre inseguivamo un pallone per le pendenze dei prati. La nostra “Coverciano”. Quando ci davamo appuntamento a “Coverciano” voleva dire vedersela in un pomeriggio di un sabato fresco, quando non si aveva nulla da fare, un pintone di vino rosso, magari Barbera, un pallone duro come il cemento e un pugno di amici. Era uno di quei pomeriggi dove non si avevano grosse aspettative, tranne quella di sudare e insultarsi. Il prato era in mezzo ad un bosco, al confine tra i due paesi, rivali tra loro. Avevamo stipulato una pace, in nome dell’allegria spensierata. Una leggera pendenza, a causa della quale il pallone, o il giocatore, finiva direttamente nella “bialera”, il fosso della raccolta delle acque. Forse il campo era a maggese, forse non era giusto giocare a pallone e rivoltare le zolle con i tacchetti. Forse il proprietario del campo se la rideva, guardandoci rincorrere un pallone.

Quel pallone aveva un nome, di preciso non ricordo quale. Ma il nome suggeriva una certa durezza maschile. Ogni volta che lo colpivamo il dolore ci ricordava quanto la Vita potesse essere stronza. Qualcuno non evitava di colpirlo con la testa. In quel caso o era un individuo di rispetto, o un semplice cretino. In entrambi i casi aveva esagerato con il Barbera.

Se penso a quelle giornate sento ancora l’aria fresca della sera di tarda estate che ci seccava le fronti, il crepitio delle foglie quando si andava a recuperare il pallone nel bosco, vedo i colori del cielo e le ampie falcate di un nostro amico, un gigante di 215 cm. Il proprietario del pallone. Le rapide sorsate di vino come se fosse acqua fresca, le risate, gli interventi poderosi. Poi le pause, e i segreti adolescenziali. Fino a quando si è adolescenti? Quando i sogni finiscono e cominciano i progetti?

In quei giorni un appuntamento nei boschi per cuocere le caldarroste aveva il gusto dell’avventura, del nuovo. Se poi si riusciva a convincere qualche ragazza a presenziare all’evento per innalzare la competitività e il livello di testosterone, beh, era la famosa ciliegina sulla torta. Qualcuno osava indossare la camicia buona. E sfoggiare un buon metodo per cuocere le caldarroste sul fuoco.

Ancora, quell’aria fresca e i colori autunnali, la tendenza a vedere della foschia tra le cime degli alberi anche quando l’aria era tersa e limpida. I sorrisi delle ragazze, eccitate all’idea di essere contemplate e adorate da un nugolo di maschi nel pieno delle loro energie. Il profumo delle caldarroste, quello che un giorno ti ricorderà quanto quella libertà avesse un prezzo, somma misteriosa, una complessa addizione delle tue doti e della tua fortuna. Un vino in bicchieri di plastica, alla giusta temperatura. Quella sera, pensai, aveva già il sapore di un ricordo, talmente era dolce.

Oggi sarebbe un ritrovo allegro, dedito al racconto di aneddoti, di storie. Storie “difficili da credere”. Storie vissute da un altro. Storie assurde e incredibili. In quelle storie si era protagonisti inconcludenti, sgrammaticati nelle emozioni, tristi, afflitti dalla noia e dal mancato coraggio. Ma vitali, a suo modo penetranti, in un tessuto morbido e senza che avesse la pretesa di essere una stoffa pregiata. Abbiamo tessuto il nostro vestito e poi stracciato per rifarlo, doveva infine piacerci. Ora, se ci ritrovassimo a cuocere caldarroste e a bere vino nei boschi, a raccontarci storie incredibili, ci ritroveremo a pensare a quel sapore che aveva una partita a “Coverciano”, a rincorrere un pallone duro e implacabile, paragonando quella tenacia alla nostra voglia di proseguire e sopravvivere nella Vita. Ora che Ella è fatta di appuntamenti, di nodi da sciogliere, di decisioni da prendere, di responsabilità e di figli da sfamare. E di ricordi dal sapore agrodolce. Ad osservare i primi passi di tuo figlio, ad amarlo ogni giorno di più e a rendersi conto della Paura di perdere qualcosa ad ogni passo fatto. Qualcosa di importante. Una lezione da impartire. Una storia da tacere. Forse l’idea, quel pensiero dolente e insieme morbido, che in te è sopravvissuto il calciatore dei boschi, il pellegrino delle montagne, l’anima turbata e raffazzonata che cercava la fuga quando la Vita ti piegava e ti modellava, e resistevi ad ogni tentativo di rivoluzione. L’anarchico che ero, il pragmatico in divenire, un narratore di storie assurde oggi.

 

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