La reincarnazione dello Straniero – terza e ultima parte

marzo 24, 2017

Il tempo quel giorno era piacevole. Brezza leggera, sole, e una lieve nota marina nell’aria. Avevano pasteggiato in un’osteria a Saluzzo, bevuto grandi quantità di vino e mangiato un buon tiramisù. Braunbaer e la Torpedine andarono a procurarsi le ultime provviste in un bazar in centro, il Capo decise di apportare delle modifiche alla centralina del 4×4, aiutandosi con uno speciale computer portatile.

Asso decise di farsi due passi per la città, diretto verso la collina a ovest. Dopo mezz’oretta si ritrovò in mezzo ad un bosco di querce e i suoi pensieri vorticavano intorno alle sue ultime vicende; il suo esilio in Sudamerica, il ritorno, la riunione con i suoi fedelissimi amici. E prima ancora le sue vicissitudini ad Amburgo, la separazione dalla sua ultima compagna, la solitudine, brevi tratti di felicità e, infine, il sapore della libertà assoluta, quando con i suoi ultimi risparmi decise di prenotare un viaggio per Bogotà. La Zeta Press Group non accettò le sue dimissioni, anzi, gli mise a disposizione un buon avvocato, che lo aiutò nelle pratiche in Sudamerica. Con un tozzo di pane comprò un mulo e una sera di Marzo lasciò la città di Bogotà e prese la via delle montagne, per poi scendere di quota gradualmente, fino a raggiungere le prime strisce di foresta amazzonica. Sulle montagne si cibò di quello che trovava, assunse i funghi magici che crescevano sui prati, alle luci del fuoco di campo vide il suo futuro e sognò il suo passato. La relazione con quella donna lo aveva depauperato di ogni dignità, autostima, coraggio.

Una mattina si svegliò nel suo accampamento completamente rilassato e riposato, la mente fresca, gli occhi finalmente scorgevano la bellezza del mondo, gli arcobaleni del cielo, la rugiada cristallina sulle piante, la purezza dei torrenti. L’ambiente che lo circondava aveva cambiato vestito, o forse lui aveva semplicemente gli occhi di qualcun altro. Decise di seppellire per sempre i fantasmi del suo passato e di resettare la sua conoscenza, reinventandosi. Divenne Lo Straniero. Deh-nna. L’occhio del Fiume. Liberò il mulo e si caricò lo zaino sulla schiena, mise un passo dopo l’altro, in direzione sud. E niente fu come prima.

Asso arrivò in cima alla collina. La piccola cappella di Saluzzo costruita negli anni Settanta sul cocuzzolo del rilievo, a 700 metri d’altezza, la cui porta era chiusa a chiave, era circondata da filari di abeti rossi ben curati. Asso si sedette su una panchina, in pieno sole, per poter ammirare il paesaggio intorno e sottostante. La città sembrava avvolta da una lieve foschia. Probabilmente farà caldo, stasera, pensò Asso. Sapeva a cosa andava incontro. L’aveva visto. Voleva gustarsi il momento, la pace, finché c’era.

Proprio nel momento in cui Mimmo fu lentamente assimilato da Lassie, in un abbraccio parossistico, la Jeep dei quattro varcò il confine tra Piemonte e Liguria, attraverso la statale che strisciava sinuosa come un serpente tra le Alpi Liguri. Erano tutti molto tesi, particolarmente Asso. A parte Braunbaer. “Ho una casetta a Chiavari. Dopo aver svolto il lavoretto possiamo fermarci lì una settimana e fare un po’ di baldoria!” Il Capo ne approfittò per sollevare nuovamente la polemica attorno ai ditalini non mangiati da Asso anni orsono, quando erano giovani. “Li devi ancora pagare, quei ditalini” disse. “Credevo avessimo chiuso da tempo questa storia dei ditalini!” replicò Asso “Mi ero sdebitato con una cassa di pompelmi freschi e una di birra Tennent’s.” La Torpedine accennò un sorriso amaro, “Guarda che la birra ce la siamo dovuta bere tutta noi, e i pompelmi li abbiamo usati per colpirti a morte quando andavi in giro per strada a declamare la tua poesia sul Qual Pesce!”

Qual Pesce

Che la diretta via intraprese

Si erse nella sua ignobile statura

Pronto a colpire

Come un cobra nella notte

Ella morì

Trafitta da Qual Pesce

Tiranno biforcuto

“Quella poesia aveva davvero qualcosa di orribile e grottesco.” Disse quasi fra sé il Braunbaer. “Ma mi aiutò a scoprire il mio potere annichilente, quando cercai di zittirti.”

Asso ne scrisse il testo dopo aver visto il Braunbaer in mutande. Quel giorno l’uomo brunazzeo era eccitato perché presto avrebbero mangiato l’apple pie genovese, la più buona del paese. La Torpedine, che a quei tempi non si chiamava così, ci fece una canzone:

Apple Pie genovese

La più buona del paese

Tutti quanti

I furfanti

Sanno bene

Chi la tiene

Quali donne

“Carcassonne!”

Benestanti

Danno pene.

A quei tempi erano giovani artisti.

Nel frattempo la Zeta Press Group riempì quattro tir di armi e li spedì alla volta di Bruxelles, insieme ad un convoglio di mercenari e cyborg programmati. La guerra ebbe inizio.

All’interno della Villa Smaila fervevano i preparativi per l’attacco alla città sede del Parlamento Europeo. La notte stessa furono messi a punto gli attacchi hacker che avrebbero messo fuori uso la difesa automatizzata del palazzo, precisamente all’ora x, sincronizzandoli con l’intervento delle forze di terra. Una detonazione avrebbe fatto saltare il portone che dava alla sala del Parlamento e i suoi soldati avrebbero occupato la sede. Probabilmente senza resistenza alcuna da parte delle forze dell’ordine. In tutti le stazioni di polizia e nelle auto di pattuglia c’era un calendario di Sabrina Salerno o girava 24 ore su 24 un disco di musica rap. Di fatto, tutti comprati, fedeli alla causa. Smaila sorrise soddisfatto. Ora, finalmente, aveva lo stimolo di defecare. Si chiuse in bagno.

La Cosa che aveva preso le sembianze di Mimmo – chiamiamolo Mimmo per comodità – si trovò in un vicolo cieco all’interno delle fogne di Villa Smaila. Sopra di lui c’erano diverse botole ma nessuna scaletta. Per cui era difficile portarsi all’esterno. Era perso nei suoi calcoli quando sentì una piccola scorreggia provenire da un punto imprecisato al di sopra della sua testa. Una delle botole in alto vibrò leggermente. Solo in quel momento Mimmo notò un leggero rigonfiamento del muro davanti a lui che correva perpendicolare alla pavimentazione fino al soffitto. Un tubo di scarico, od un insieme di tubi di scarico il cui sbocco si trovava al disotto del livello dei liquami, quasi all’altezza dei suoi piedi. Avvertì ora un leggero flusso, un movimento di fluidi, intorno alle sue caviglie. L’essere sorrise. Poteva assumere qualsiasi consistenza, frantumarsi le ossa in piccoli pezzetti e trasformarsi in un ammasso gelatinoso, per poi risalire lungo quel tubo prima che qualcuno tirasse l’acqua. E, se il suo fiuto in quel momento non sbagliava, sentiva odore di ricottella. Il suo sorriso divenne più ampio, mentre un rumore di ossa ridotte in poltiglia riempì l’ambiente cavernoso.

Smaila aveva preso l’abitudine di masturbarsi mentre defecava. Era convinto che gli faceva risparmiare tempo. Nel momento culminante gettò in un angolo la copertina del CD di Sabrina Salerno e Jerry Calà, nel suo volto una espressione di godimento puro. “Aaaaahhh”. Lo stronzo si depositò sulla ceramica. Qualcosa nel volto di Smaila cambiò repentinamente, come quando la Luna oscura il Sole, una specie di eclissi Smailiana. La goduria divenne stupore, poi dolore, poi di nuovo goduria, quindi infine i suoi tratti si modificarono completamente, come se fosse scosso da conati di vomito. Poi, da principio molto lentamente, quindi sempre più in maniera decisa, un sorriso ampio si fece largo sul suo bel viso curato. “Oh!”, disse solo. L’idea di avere tendenze omosessuali non lo sfiorò mai e poi mai nei sui settant’anni di vita, fino a quel glorioso momento. Poi l’eclissi lo cancellò completamente.

Il Capo ricevette un solo pensiero. Un impeto di gioia lo sopraffece, proprio nel momento in cui cominciarono la discesa verso la costa ligure. “Abbiamo schiacciato la testa del serpente!” urlò felice. Gli altri chiesero precisazioni. “Smaila è stato posseduto da Lassie, il mio fido compare. Ora non può più nuocere!”. “Davvero?” esclamarono gli altri. Il Braunbaer, alla guida della Jeep, batté un pugno sul cruscotto, mandandolo in frantumi. BASTARDO ROTTO IN CULO, CREPA!

“No, non è morto. Ma ora risponde ai nostri comandi o, per essere più precisi, ai miei.”. Asso parve riflettere un attimo. La Torpedine colse l’espressione del suo compagno di avventure ma non disse niente. Strane cose cominciò a vedere, con l’occhio della Torpedine. La sua capacità di cavalcare le onde dello spazio-tempo gli offriva la possibilità di scrutare, se non quasi prevedere, alcuni scorci di futuro. Un giorno avrebbe dovuto liberarsi completamente del demone, consapevole poi di diventare un essere umano normale, come gli altri. Quasi invidiò i suoi amici, la loro normalità. Certo, avevano caratteristiche singolari, ma dovute al loro ingegno e il loro stile di vita. Il Braunbaer, che in quel preciso istante annichiliva l’autista di una BMW che non lo faceva passare con frasi ingiuriose, aveva il suo perché. Uomo di stazza enorme, potente e forte come un grizzly, grazie a Dio non proprio peloso come l’animale ma quasi, era il braccio muscoloso del gruppo. Asso, abile pilota e osservatore, aveva i migliori contatti con l’agenzia, una fabbrica di idee, rappresentava la Wild Card del gruppo; la sua imprevedibilità non permetteva all’avversario di imporsi. Tenace ma anche flessibile. Il Capo, con decenni di pratica alle spalle, aveva perfezionato il suo organo nell’assimilazione di ogni elemento, un fegato capace di prendere vita e diventare organismo a sé, una potenza confinata dentro una cornice che aveva la sua sede nell’appartamento abitato da lui e dal suo fido compagno, Lassie. L’essere era una gelatinosa appendice di quel gagliardo, flatulente demone buono che abitava la tela del Capo, un quadro magico che lo preservava dal degrado. Buono solo con gli amici, s’intende. Ma pur sempre pericoloso.

E lui? Chi rappresentava? Quali caratteristiche aveva, se non quelle dell’ambizioso borghese integrato nella buona società, fedele ai valori e seguace del pensiero scientifico e spirituale di Pierangela? Tempo fa questi gli rivelò che un giorno avrebbe preso in mano le redini della civiltà umana e condotto l’umanità, con l’aiuto dei suoi amici, verso un nuovo Illuminismo, un Rinascimento all’avanguardia della tecnologia odierna, capace di restituire l’armonia e l’equilibrio tra la razza umana e la natura. Con il suo progetto nel settore della robotica stava effettuando un passo verso la liberazione dal giogo del lavoro fisico, di pari passo ad una rivoluzione sociale-politica che iniziava nelle scuole e nelle università di tutto il mondo, un modello, un manifesto scientifico rivolto alla risoluzione apartitica dei problemi del mondo. Qualcuno gli stava mettendo i bastoni fra le ruote. Che ruolo aveva la Torpedine? Avrebbe giocato a loro favore nel momento culminante? Era diventato un demone buono? “Non sempre il male giunge per nuocere” gli disse a Saluzzo Asso “Nel gioco della dama bisogna a volte sacrificare una o più pedine per vincere la partita.” Cosa aveva voluto dire? E come poteva affrontare Sabrina Salerno, o meglio il suo artefatto, se non sapeva dove si trovava? Un giorno, pensò preoccupato, queste domande troveranno risposte.

Smaila uscì dal bagno con una espressione serafica dipinta sul volto. Intorno a lui ferveva l’attività più frenetica, i suoi uomini si preparavano all’attacco. Le mura esterne furono armate con artiglieria pesante. L’uomo, vestito solo di calzini di seta nera, si recò verso il deposito delle armi nel seminterrato. Il fido Cavaliere Nero osservò la cadenza dei passi del suo padrone. Riconobbe un cambiamento nella sua camminata. Preoccupato, lo seguì ad una certa distanza. La sua coda scodinzolò nervosa.

La Jeep si portò sul fianco della collina sulla cui cima vegliava Villa Smaila. Era una deliziosa mattinata, ventisette gradi ed una leggera brezza fresca che arrivava dal mare. Ciononostante, i quattro amici sudavano copiosamente. “Siamo in quattro e la Villa è sorvegliata da un esercito di duecento unità armate fino ai denti” disse Braunbaer. È vero, pensò la Torpedine, ma Davide sconfisse Golia. Il loro cavallo di Troia, secondo le informazioni che trasmetteva secondo per secondo al Capo, stava per attuare la parte più importante del piano. Questo avrebbe portato Lassie a sacrificare la propria vita, ma era il prezzo che il Capo era pronto a pagare pur di fare breccia nel castello. “Mi fa male il fegato…” fece il Capo. Si stappò una bottiglia di birra. “Ahhh, molto meglio” ruttò felice. L’attesa era snervante. Asso si sistemò sul pianale e caricò la mitragliatrice.

Il Cavaliere Nero cambiò sembianze, grazie ad un algoritmo speciale che si attivava in condizioni ambientali particolari, come quando un elemento metteva a rischio la Missione. Il programma aveva calcolato un 92,7% di probabilità che questo elemento estraneo avrebbe generato una reazione a sequenza che significava la fine di tutti loro. Purtroppo per lui questa abilità era classificabile come ansia generalizzata e un certo grado di depressione. Guardandosi allo specchio sorrise compiaciuto: aveva il corpo attraente di una quarantenne dal sorriso ammaliante. Sabrina Salerno.

La Torpedine capì che era venuto il momento di agire da solo, con i suoi poteri. Non capiva come, ma ne era sicuro. Si immerse ancora una volta nell’altra dimensione spaziotemporale e parte di lui si mosse verso Villa Smaila, allungandosi come una stringa cosmica. Si materializzò nel deposito delle armi. Subito riconobbe il suo nemico, il cyborg dalle sembianze di Sabrina. Questi avvertì un cambiamento nell’aria e si voltò, ghignando di feroce ira. “Fai quello che devi fare, Lassie. Io mi occupo di lei, ora.”, fece la Torpedine. Seduto esanime sulla Jeep, il capo reclinato da una parte, Fede lottò per non cadere nel Nulla. “Ora! All’attacco!” gridò il Capo. Il Braunbaer innestò la prima e fece arrampicare il mezzo sulla collina terrazzata, diretto verso il cancello principale di Villa Smaila. Il crepitio dell’artiglieria fu avvertito persino dai bagnanti sulla costa, che si dispersero per le strade in cerca di protezione. Come sincronizzati da un immenso orologio, le truppe di Smaila fecero la loro apparizione sul terrapieno delle mura esterne, aumentando il fuoco di difesa. Quando la Jeep sfondò il cancello partirono le prime raffiche. Non poterono vedere Smaila correre attraverso il cortile con ordigno a fusione nucleare tra le braccia, diretto verso le mura. La Jeep svoltò bruscamente a destra e si barricò dietro un edificio di forma cubica. Poi la luce inghiottì tutto, seguita da un enorme boato.

Le fondamenta tremarono, calcinacci e pezzi di cemento armato grossi come termosifoni caddero tutt’attorno ai due esseri, che si fronteggiarono per l’ultima battaglia tra Bene e Male. Il cyborg emanò un fascio di particelle dalle tette che quasi colpirono la Torpedine, abile nel scansare l’attacco. Doveva concentrare tutte le sue energie per creare l’antimateria intorno a lui, ma non bastavano. Un elemento mancava, quell’elemento che aveva garantito il successo l’ultima volta su quel Doblò, in Francia. Frustrato, l’essere non poteva far altro che distrarre il cyborg dai suoi propositi, il tempo sufficiente che serviva alle truppe dell’Agenzia e ai suoi amici per sferrare l’attacco in sincrono all’esercito di Smaila. Non gli restava altro che rimanere il più possibile vivo. Il gioco astuto tra la Pedina e la Dama.

Un vento incandescente si abbatté sull’edificio dietro il quale la Jeep si riparava. Quel blocco di cemento armato al piombo crollò come un castello di carte. Il Braunbaer accelerò ed evitò che una parete crollasse su di loro. Asso si voltò e vide il suo amico svenuto. Ancora una volta gli ritornarono in mente i pezzi della sua visione. Devo andare, ora, pensò. Disse al Capo di prendere il suo posto sul pianale e di coprirlo con la mitragliatrice, mentre si sarebbe fatto largo tra le macerie, diretto verso il bunker delle armi. “Perché?” urlò Kasta, il Capo, reso sordo come tutti dall’esplosione nucleare. Asso non rispose. Afferrò un fucile M16 e un secondo caricatore, si mise in spalla lo zaino con le bombe a mano e uscì allo scoperto. “Cazzo! Dani, metti la retromarcia e seguilo!”. Il Braunbaer innestò la marcia e seguì a velocità sostenuta l’avanzata solitaria di Cla, l’Asso del gruppo, che saltellò sicuro tra un blocco di cemento e l’altro. Le truppe a difesa delle mura si erano vaporizzate. Quasi non incontrò resistenza, se non quella dal suo istinto di sopravvivenza, che gli diceva di tornare indietro.

L’esplosione aveva formato un enorme cratere al centro del cortile. Cla si sdraiò sul suo suolo vetrificato, reso viscido dalla rottura di un canale fognario, e scivolò verso il centro. Dall’altra parte dovette aiutarsi con una picozza da alpinista leggera. Finalmente arrivò dall’altra parte, ed individuò subito l’ingresso del bunker, la porta armata divelta dall’esplosione. Come animato dal fuoco della vittoria, varcò la soglia con lunghe falcate, imbracciando l’M16. La Jeep dovette fermarsi a pochi metri dal cratere. Kasta e Dani scesero dal mezzo, finalmente a conoscenza del progetto del loro amico. Le pupille di Fede si mossero frenetiche dietro le palpebre. Intravedeva uno spiraglio di vittoria.

La Torpedine era ferita. Un fascio di particelle l’aveva colto mentre cercava riparo dietro un glomerulo di materia densa. Sabrina Salerno sorrise smagliante. Ora la percentuale di vittoria saliva al 45%. “Abbraccia la Fine! Lasciati colpire, lasciati annichilire!”. La Torpedine s’insinuò affannata in un’increspatura spazio-temporale, saltando in un futuro non meno roseo. Per due secondi la Torpedine non era visibile, poi ricomparve in un altro punto. Sabrina Salerno si girò tempestivamente e caricò un altro fascio di particelle, quando alle sue spalle risuonò il crepitare di un’arma automatica. Un proiettile gli staccò quasi un braccio dalla spalla. Si voltò verso quella nuova minaccia. Il raggio di particelle colpì il centro di quell’organismo, trafiggendolo da parte a parte. Asso si piegò sulle ginocchia, colpito ad un polmone. Sul suo viso un’espressione serena. Il futuro era presente.

La Torpedine cambiò colore. Un sentimento antico come il Sole gli dette nuova energia. I suoi occhi diventarono due supernove, l’aria intorno a lui si depolarizzò, l’antimateria si fece largo tra le maglie della quarta dimensione e divenne una palla di luce terribile. Poi successe.

>M(log.no exit)

>>atk.V-(q*⅍)

>>> t=log

>>>>mission – deleted.

Fede riprese conoscenza. Il mondo dei suoni era sparito. Mentre scendeva dalla Jeep, posando cautamente un piede dopo l’altro sul suolo devastato, il suo sguardo si posava sul paesaggio apocalittico che lo circondava. Si massaggiò il collo pensosamente. Doveva essere rimasto incosciente per almeno un’ora. Il sole era a picco su di lui, un elicottero sorvolava le macerie senza produrre alcun rumore. Dall’elicottero fu calata una scaletta a fune, un soldato scese la scaletta. Vide la bocca muoversi ma non sentì niente. Il soldato lo prese per un braccio e gli indicò l’elicottero, che non osava atterrare, per timore di un attacco a sorpresa. Lo aiutò a salire la scaletta, poi tornò di sotto, imbracciando un fucile d’assalto. Il personale di bordo gli prestò le prime cure.

Dani e Kasta affiorarono dal bunker. Braunbaer, l’enorme colosso di carne, piangeva a dirotto. Sosteneva il peso di un corpo inerte, Asso. Il Capo lo seguì con uno sguardo vuoto, scioccato. Il soldato cercò di comunicare con loro, tenendoli sotto tiro. “Il nostro amico! È ferito a morte!” urlò Dani. Il soldato fece cenno all’elicottero di avvicinarsi, che finalmente si posò sul suolo cosparso di macerie e corpi disintegrati. Asso fu caricato sull’elicottero, il medico di bordo studiò la sua ferita e lo collegò ad una macchina. L’elicottero virò e si portò a 500 metri di quota, per poi dirigersi verso l’ospedale militare di Genova. Il soldato ricevette l’ordine di rimanere con i due sopravvissuti, per proteggerli da eventuali attacchi. “Cosa è successo qui?”. “Un miracolo” disse Dani.

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